La normativa sul lavoro sancita dal Jobs Act

La normativa sul lavoro sancita dal Jobs Act. Il diritto all’indennità in caso di licenziamento. La decisione della Consulta sull’anzianità.

 

C’era una volta il contratto di lavoro a tempo indeterminato. Uno lo firmava e tornava a casa per annunciare con un sorriso a 32 denti: «Mi hanno fatto fisso». Oggi questo contratto esiste ancora, ma sono cambiate un po’ di cose. La prima: non si chiama più così. Adesso la denominazione giusta in caso di prima assunzione è «contratto a tutele crescenti». La seconda: non ci sono più le vecchie regole in caso di licenziamento. La terza è una conseguenza della seconda: l’annuncio non si fa più a 32 denti ma, ad essere ottimisti, potrebbero bastarne 25 o giù di lì. Sapere che cos’è e a chi si applica questo tipo di contratto ci farà scoprire che, per quanto si debba gioire quando si trova un lavoro a tempo indeterminato, non è oro tutto quello che luccica: se prima c’erano sempre le condizioni per il reintegro in azienda, ora non è più così.

Il contratto a tutele crescenti è una delle costole del Jobs Act, cioè della riforma del lavoro introdotta dal Governo Renzi nel 2015 [1] nel tentativo di dare uno slancio all’occupazione. I pilastri su cui poggiava il nuovo contratto erano due: agevolazioni alle imprese che lo applicavano e semplificazione in caso di recesso. Ma non sono mancate le controversie. Innanzitutto, perché in caso di licenziamento illegittimo da un’azienda con più di 15 dipendenti (o di 5 se l’azienda opera nel settore agricolo) non è più previsto il reintegro in azienda ma soltanto un risarcimento economico. Ed in secondo luogo perché la stessa Consulta ha dichiarato incostituzionale il modo in cui viene calcolato quel risarcimento, basato a suo tempo solo sull’anzianità. Risultato: oggi il giudice è legittimato ad usare altri parametri quando deve stabilire l’indennità da corrispondere al lavoratore cacciato via ingiustamente.

Chi sono, però, i dipendenti coinvolti nella riforma introdotta dal Jobs Act? Contratto a tutele crescenti: cos’è e a chi si applicaIn che cosa consiste questo nuovo modo di suggellare un rapporto di lavoro?

Indice

 

·         1 Contratto a tutele crescenti: che cos’è?

·         2 Contratto a tutele crescenti: a chi viene applicato?

·         3 Che succede se sono stato assunto prima del Jobs Act?

·         4 Che cosa sono le tutele crescenti?

·         5 Contratto a tutele crescenti: cosa prevede in caso di licenziamento?

o    5.1 Licenziamento illegittimo

o    5.2 Licenziamento disciplinare ingiustificato

o    5.3 Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo

·         6 Contratto a tutele crescenti: risarcimento e anzianità

 

Contratto a tutele crescenti: che cos’è?

Il contratto a tutele crescenti è un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel settore privato. Coinvolge praticamente tutti i dipendenti tranne i dirigenti. A differenza dal vecchio contratto «fisso», se così lo si può chiamare perché di fisso non esiste più nulla tranne le tasse e la morte, prevede due tipi idi agevolazioni:

·         un beneficio fiscale per le aziende durante i primi 3 anni;

·         una semplificazione della procedura nei casi di licenziamento.

 

Contratto a tutele crescenti: a chi viene applicato?

Questo tipo di rapporto di lavoro si applica sulle assunzioni a tempo indeterminato successive al 7 marzo 2015, cioè dopo l’entrata in vigore del Jobs Act. I lavoratori interessati, come accennavamo prima, sono praticamente tutti tranne i dirigenti e, nello specifico:

·         operai;

·         impiegati;

·         quadri.

Viene applicato anche a chi aveva un contratto di apprendistato o a tempo determinato ed è stato convertito in tempo indeterminato.

Infine, il contratto a tutele crescenti è riservato a chi lavora per un’azienda che dopo il 7 marzo 2015 ha superato la soglia dei:

·         15 dipendenti in una sola unità produttiva;

·         60 dipendenti sull’intero territorio nazionale.

 

Che succede se sono stato assunto prima del Jobs Act?

Nel caso in cui tu sia stato assunto con un contratto di apprendistato o a tempo determinato prima del 7 marzo 2015 e sia stato convertito in tempo indeterminato dopo quella data, ti verrà applicato il contratto a tutele crescenti.

Se, invece, hai un tempo indeterminato da prima del 7 marzo 2015, il tuo contratto resta tale, vale a dire che è ancora regolato dall’articolo 18 della vecchia legge del 1970 [2], cioè da ciò che si conosce come Statuto dei lavoratori, e da tutta la precedente normativa [3].

Che cosa sono le tutele crescenti?

Così come sono state introdotte dal Jobs Act, le tutele crescenti sono una serie di condizioni che subentrano in caso di licenziamento in base all’anzianità di servizio.

In pratica, una volta, quando il rapporto di lavoro veniva troncato dall’azienda senza una giusta causa, il giudice poteva decidere il reinserimento in azienda del dipendente licenziato. Adesso si tende a stabilire un indennizzo che cresce (da lì il nome di tutele crescenti) in base all’anzianità di servizio. Questo fino all’intervento della Corte Costituzionale, su cui ci soffermeremo più avanti.

I casi in cui si può decidere per il reintegro del lavoratore sono, in sostanza, due:

·         quando c’è stato un licenziamento discriminatorio o nullo per legge;

·         quando il giudice accerta l’illegittimità di un licenziamento disciplinare, cioè per giusta causa.

 

Contratto a tutele crescenti: cosa prevede in caso di licenziamento?

Vediamo che cosa prevede il contratto a tutele crescenti nei vari casi di licenziamento, così come stabilito dal Jobs Act.

Licenziamento illegittimo

Si tratta del licenziamento deciso in caso discriminatorio, come ad esempio quello deciso nei confronti di una donna che rimane incinta o per una disabilità o, ancora, quello comunicato a voce.

Il contratto a tutele crescenti dispone, in questi casi, per il lavoratore il diritto a:

·         un risarcimento pari alle mensilità perse nel momento in cui sarebbe stato reintegrato e, comunque, non inferiore a 5 mensilità, inclusi i contributi;

·         un’indennità di 15 mensilità più il numero di stipendi persi dalla data di licenziamento fino a quella in cui sarebbe stato reinserito in azienda, nel caso in cui il lavoratore rifiuti il reinserimento.

 

Licenziamento disciplinare ingiustificato

Se, invece, il lavoratore ha subìto un licenziamento disciplinare ma il giudice decide che il provvedimento è stato ingiustificato, ci sono due possibilità: che l’azienda abbia più o meno di 15 dipendenti.

Nelle realtà con meno di 15 dipendenti, non c’è diritto al risarcimento ma sì ad un’indennità da concordare con il datore di lavoro.

Se si viene licenziati da un’azienda con più di 15 dipendenti, il lavoratore può decidere tra:

·         non tornare al lavoro e percepire un’indennità di 15 mensilità più quelle perse fino al reintegro;

·         tornare al lavoro e percepire un’indennità pari a quelle perse meno le somme incassate per eventuali lavori svolti nel frattempo (il cosiddetto aliunde perceptum).

Un esempio di quest’ultimo caso. Sei stato 6 mesi fuori dall’azienda per effetto del licenziamento. Ti spettano 6 mensilità per le quali, in virtù di uno stipendio di 2.000 euro lordi al mese, dovresti prendere 12.000 euro lordi. In quel periodo, però, hai fatto delle collaborazioni che ti hanno fruttato 5.000 euro lordi. Significa portare a casa un’indennità di 7.000 euro.

 

Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo

In linea di massima, chi viene licenziato per giusta causa o per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) ma in modo illegittimo, ha diritto ad un’indennità pari a due mensilità per ogni anno lavorato e, comunque, non inferiore a 4 mensilità e non superiore a 24. Tale indennità non è soggetta a contributi previdenziali.

Dicevamo «in linea di massima» perché ci sono delle eccezioni. Ad esempio:

·         se si dimostra che non c’erano le basi per una giusta causa o per un giustificato motivo soggettivo, il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato e ad avere un risarcimento non superiore alle 12 mensilità;

·         se c’è un difetto di motivazione o un vizio procedurale, il giudice determina la chiusura del rapporto di lavoro alla data del licenziamento ed un’indennità tra 2 e 12 mesi.

Nelle aziende con meno di 15 dipendenti spetta la metà di questo risarcimento.

Contratto a tutele crescenti: risarcimento e anzianità

Sulla normativa che regola il contratto a tutele crescenti che abbiamo appena visto, la Corte costituzionale ha avuto qualcosa da precisare [4]. La Consulta, infatti, ha ritenuto incostituzionale il fatto che il risarcimento destinato ad un lavoratore licenziato si debba basare esclusivamente sull’anzianità di servizio, in quanto vengono violati in questo modo i princìpi di ragionevolezza e di uguaglianza, oltre che la tutela del lavoro sancita dalla Costituzione.

Che cosa vuol dire? Significa che un giudice può decidere su una causa di lavoro basandosi su altri criteri oltre a quello dell’anzianità, come ad esempio le dimensioni dell’azienda o il comportamento delle parti.

note

[1] Dlgs. n. 23/2015 del 04.03.2015

[2] Legge 300/1970

[3] Legge n. 604/1966 riformata dalla legge n. 92/2012.

[4] Corte cost. sent. del 25.09.2018.

 

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